Il pensiero eco-positivo per sopravvivere a noi stessi, agli altri e al mondo
Per comprendere al meglio quale sia il concetto di scienza della sopravvivenza, occorre partire dalle definizioni di “sopravvivenza” che sono poche, ma chiare:
- condizione di chi continua a vivere; conservazione; sopravvivenza di una specie animale,
- il sopravvivere ad altri; continuità di vita; tutti gli animali lottano per la loro sopravvivenza.
La lotta per la sopravvivenza (in un ambiente naturale generalmente ostile) è tipica d’ogni essere vivente e, in tutte le specie, si manifesta con atteggiamenti psicologici e azioni fisiche tese a crearsi uno spazio vitale; il focus principale, quindi, non è di carattere filosofico ma pratico, provato inconfutabilmente da studi che dimostrano la sua importanza nel mondo scientifico.
A parte la bioetica e la statistica, l’indagine scientifica non ha mai approfondito l’argomento; al massimo, il termine singolo “sopravvivenza” è stato integrato a determinate discipline che per varie ragioni avvaloravano ipotesi e tesi evolutive e adattive. La parola “sopravvivenza” è stata elaborata da un algoritmo che seleziona gli ambiti scientifici e le sue applicazioni e il risultato della ricerca ha dimostrato il collegamento a 1200 temi di varia natura che spaziano dallo scientifico al culturale. Chiaramente, dobbiamo restringere la trattazione al genere Homo per non perderci nei meandri della biologia e concentrare la nostra attenzione sulle cause, azioni, pressioni ambientali e tutti i fattori che hanno influenzato la nostra sopravvivenza.
La Scienza della sopravvivenza non ha una visione antropocentrica, bensì allarga i suoi orizzonti ad altre discipline che sono all’origine di questo complesso ambito di fattori variabili. Questa disciplina deve la sua reputazione all’antropologia, archeologia classica e sperimentale, ecologia umana e principalmente alla sperimentazione umana che ci accompagna da sei milioni di anni. Se in statistica la funzione di sopravvivenza è la probabilità che il tempo di morte sia posteriore a un determinato momento, la missione del genere Homo è il completamento di un sogno astratto che è diventato realtà.
La famiglia degli Hominini, in un crescendo di adattamento e soluzione dei problemi, ha segnato un solco indelebile nel regno animale adattandosi a tutti i climi terrestri e ha realizzato strumenti per vincere la sfida vitale che il mondo proponeva e propone tutt’oggi. La tecnologia sin dagli albori è stata la soluzione del problema, considerato che, partendo dal concetto di essere preda siamo passati a predatori, abbiamo stravolto l’equilibrio biologico di altri esseri viventi e ci siamo affermati come animale capace del potere di astrazione che nella pratica si riconduce alla soddisfazione di necessità primarie.
Le mutazioni genetiche hanno permesso al genere Homo di aumentare la consapevolezza del voler vivere a tutti i costi, di non fermarsi davanti ad un ostacolo o soccombere ai cambiamenti climatici che per milioni di anni ci accompagnano.
La psicologia comportamentale, analizzando la nostra famiglia di appartenenza, afferma che siamo una “scimmia sociale che si basa su legami familiari ed interpersonali, ad alta dipendenza affettiva per confrontarsi sulle implicazioni che la sopravvivenza mette a confronto ogni giorno”.
La Scienza della sopravvivenza conferma e sdogana tutto l’elaborato mentale e fisico degli Hominini, attesta che tutte le soluzioni positive o negative sono finalizzate al “vivere sopra” per il singolo individuo, il clan, la tribù e di conseguenza la nostra specie.
Se analizziamo tutti i periodi storici che il genere Homo ha attraversato, si comprende come la socialità, la cultura materiale, immateriale e soprattutto la sperimentazione hanno spinto la tecnologia creativa e adattiva a un miglior vivere in una continua ricerca di comfort e benessere in sopravvivenza.
La pressione ambientale
Riscontriamo nei primi Hominini africani la volontà di non soccombere alla pressione ambientale; quindi, le loro migrazioni li trasferiscono da un contesto di vita che man mano si trasforma in negativo a positivo alla scoperta di luoghi e climi a loro più favorevoli rispetto a quelli da cui erano partiti.
Questa strategia ha premiato la scelta e ha incrementato la capacità di vivere con quei pochi mezzi che via via si sono evoluti e perfezionati elevando l’autostima e la determinazione ad affermarsi a qualunque costo a vantaggio della conservazione e trasmissione di un patrimonio genetico in continua trasformazione.
La trasformazione epocale da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori-allevatori segna il confine tra eterna lotta per la sopravvivenza e una cultura di inurbata, dove le necessità trovano immediato soddisfacimento, passando quindi dalla preistoria alla storia.
Nel corso dei millenni possiamo comprendere come la parola “civiltà” sia entrata di prepotenza nelle trattazioni storiche emarginando coloro che nel globo terracqueo continuavano una vita primordiale, cioè i primitivi attuali. Proprio da loro la Scienza della sopravvivenza ha iniziato a considerare quanto sia importante analizzare i principali aspetti che hanno permesso agli antropologi, archeologi e survaivalisti sperimentali tutto il complesso meccanismo che ruota intorno all’evoluzione umana.
Tutti, nessuno escluso, hanno contribuito alla sopravvivenza della specie, nel bene e nel male, esplorando un mondo che avrebbe messo alla prova chiunque non fosse capace di sopravvivere. È il caso di esploratori, avventurieri, conquistatori e tante altre figure che a caro prezzo hanno saputo cogliere l’attimo fulgente tra il soccombere e il vivere in situazioni al confine della realtà e dell’immaginazione. Personaggi che inconsciamente si sono messi alla prova senza nemmeno pensare a cosa andassero incontro hanno sfidato il destino e hanno creato il mito della sopravvivenza che alla luce dei fatti li ha resi immortali.
Forse è stata una forma di incoscienza o di delirio di onnipotenza che ha spinto al limite queste performance, oppure nell’immaginario collettivo, il mito di Ulisse, della scoperta e del nuovo che ha consacrato il sacrificio di individui alla mera auto-celebrazione e alla stramaledetta formula di auto-preservazione che oggi occupa i libri di storia.
I fatti dimostrano che la nostra voglia di vivere ha influenzato usi e costumi nel corso del tempo, mentre adattabilità e creatività hanno fatto la differenza e se siamo partiti da una pietra scheggiata e siamo arrivati alla bomba atomica è perché la nostra bramosia di superiorità non ha saputo frenare gli istinti di supremazia tra di noi e sulle altre specie.
La purezza arcaica nella sopravvivenza è formula di studio da parte di esperti che, con una prospettiva decisamente critica, espone una visione chiaramente non “buonista” dell’essere Homo, anzi, una competizione con se stesso e con gli altri al limite dell’auto-distruzione che si trasforma, alla fine, in una forma di esaltazione dell’ego e in senso di colpa per le sue strategie malvagie.
Mode no-limits, super-uomini e neo-futurismo
Da queste considerazioni possiamo capire che tutto il processo evolutivo e/o adattivo si è concentrato sulle imprese che hanno generato la grande sfida umana ricca di successi, insuccessi, frustrazioni ed emozioni che ci permettono ancora oggi di celebrare questa competizione tra noi e la Natura: l’ambiente è il principale protagonista dei nostri sforzi per apprendere come si sopravvive, banco di prova per molte specie, fattore principale per la nostra esistenza a tutte le latitudini e longitudini, habitat perfetto per metterci alla prova, differenza tra la vita e la morte.
Se da un lato la sopravvivenza primitiva ha selezionato i più adatti, quella moderna ha sentenziato la corsa all’estremo, distorcendo la visione antropologica in mera competizione. Scalare una montagna o solcare il mare alla scoperta di nuovi orizzonti è stata di per sé una conquista a lungo, ma con lo sviluppo delle nuove tecnologie il survival diventa un banco di prova per uomini e mezzi ai confini dell’esasperazione, una formula all-inclusive del deus ex machina che incarna un neo-futurismo sponsorizzato dai media come nuovo traguardo da raggiungere, illudendo il pubblico che quelle pratiche fossero l’aspirazione primaria della civiltà moderna.
La parola “survival” ha ingannato per anni il pubblico mondiale mettendola spesso a servizio dell’esperienza militare e oscurando quella civile che ha creato, invece, lo sviluppo di una coscienza efficace e progressista del concetto di “sopravvivenza”, adoperandosi in maniera eco-positiva, stimolando la ricerca e influenzando interazioni tra le varie discipline scientifiche, facendo, così la differenza, in termini di qualità, nella vita di tutti i giorni.
Per quanto riguarda la storia attuale, molti studi e ricerche condividono numerosi principi che la Scienza della sopravvivenza continua a evidenziare, tante combinazioni e soluzioni che danno ragione al concetto fondamentale di “pensare per agire”, consapevolezza e necessità o semplicemente una nuova psicologia per l’adattamento che sia formalmente utile e non effimera come testimoniano le nuove tecnologie.
Abbiamo viaggiato per millenni senza bussola, comunicato in modo semplice in tutto il mondo senza internet, siamo riusciti a risolvere problemi pratici ed esistenziali senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ci siamo mescolati geneticamente senza saperlo forse senza comprendere che lo stavamo facendo per la mera voglia di sopravvivenza.
A partire dagli anni ‘80 del Novecento, anche lo sport ha coinvolto migliaia di persone a partecipare a contest o gare a impegno combinato o, come si soleva dire, a “guai organizzati”, facendo sopravvivere le abilità e le attitudini delle nostre origini, mettendo in risalto il piacere di mettere in atto le tecniche più utili e “vitali” in ogni contesto ambientale, affrontando emergenze reali o simulate. Le manifestazioni avevano lo scopo di mettere alla prova i partecipanti riproducendo (in sicurezza) le circostanze di un naufragio, una scalata in montagna, un’escursione in jungla o in un deserto, esperienze nelle quali si esaltava la soluzione dei bisogni primari quali acqua, fuoco, un ricovero, il tutto mantenendo la calma e la capacità di ragionare in modo lucido; venivano valutate anche le tattiche e le strategie comportamentali dei partecipanti al fine di comprendere al meglio le dinamiche psicologiche che venivano messe in atto per superare gli insuccessi, le frustrazioni, la resilienza.
L’apogeo di questi meeting di sopravvivenza fu la realizzazione di un circuito internazionale di atleti estremi mondiale, battezzata “No Limits”, che esaltò il mito del super-uomo in un contesto di esasperazione della tecnologia, oscurando la parte romantica e primordiale dalla quale il mondo survival era nato.
Dopo anni di analisi e sperimentazione siamo arrivati alla conclusione che la specializzazione è sintomo di estinzione, rafforzando la tesi che la Scienza della sopravvivenza, in simbiosi con altre discipline scientifiche, ha decretato il regresso del genere umano, causato dall’uso massivo della tecnologia, di un regresso nelle abilità motorie, nelle componenti creative e nell’adattabilità alle mutevoli condizioni ambientali. A detta di psicologi comportamentali e antropologi culturali, che evidenziano questa situazione come “decadenza mentale”, le principali capacità umane di sopravvivenza in qualsiasi ambiente, quali l’improvvisazione e l’adattamento, hanno subito un regresso allarmante.
In conclusione, a fronte di tanti indizi negativi, il pensiero degli addetti alla Scienza della sopravvivenza è un pensiero eco-positivo, dove le tante componenti che influenzano il nostro “vivere sopra” ci permetterà di sopravvivere a noi stessi, agli altri e al mondo.